sabato 2 febbraio 2013


La rivolta del Sonderkommando
(da Lulù)

Alle elementari quando la maestra ci parlava dello sterminio degli ebrei le facevo sempre una domanda: perché gli ebrei, che si trovavano in gran numero nei campi di concentramento, non hanno mai tentato di rivoltarsi contro i tedeschi che erano di meno? La maestra mi rispondeva sempre che i tedeschi erano armati, mentre gli ebrei no, inoltre quest’ultimi erano indeboliti dalla fame e dalla prigionia, quindi pochi tedeschi potevano tenere a bada tanti ebrei. Sul momento la prendevo per buona, ma era una spiegazione che non mi soddisfaceva, tanto che l’anno successivo ero sempre lì, pronta a rifarle la stessa identica domanda.
In seguito ho accettato la spiegazione che i prigionieri, ridotti a spettri dalla fame e dai ritmi estenuanti di lavoro, non potevano concepire un’idea del genere perché  venivano svuotati della propria coscienza e riuscivano a pensare solamente a sopravvivere un altro po’.
Quindi, se diamo per buona questa teoria, è logico che l’unica rivolta che è scoppiata ad Auschwitz sia partita dai membri del Sonderkommando.

Il Sonderkommando (in tedesco “kommando speciale”) era il gruppo, formato esclusivamente di ebrei, incaricato del lavoro ai crematori: i membri del Sonderkommando dovevano accompagnare le vittime nello spogliatoio, aiutarle a spogliarsi, aprire e chiudere la botola attraverso la quale l’SS incaricata gettava nella camera a gas lo Zyklon B, tirare fuori i cadaveri dalla camera a gas, tagliar loro i capelli ed estrarre i denti d’oro, infine dovevano cremare i corpi.
Il Sonderkommando godeva di condizioni migliori rispetto agli altri prigionieri del campo: i membri del Sonderkommando, chiamati “i corvi neri dei forni”, venivano in genere trattati più umanamente, mangiavano di più e soffrivano di meno il freddo, più che altro perché, avendo la possibilità di frugare i cadaveri, potevano recuperare facilmente coperte e cibo che i deportati portavano con sé. Il Sonderkommando però veniva “cambiato” spesso, perché testimone troppo diretto dello sterminio, e perciò sono pochissimi i sopravvissuti di questo kommando.
Uno di questi pochissimi, Shlomo Venezia, è stato molto impegnato nel testimoniare nelle scuole, nell’accompagnare gruppi ad Auschwitz-Birkenau, nel far sapere al mondo quel che è successo.
Su youtube ho trovato una sua intervista, divisa in 9 parti, in cui Shlomo racconta la sua esperienza. In questo video racconta nello specifico il suo lavoro nel crematorio.


Tornando alla rivolta del Sonderkommando, essa era stata pianificata per anni dai Kapos polacchi dei crematori, ma la data era sempre stata rimandata perché la resistenza politica non voleva concordare un giorno.
Alla fine, il 6 ottobre 1944, il Sonderkommando iniziò la rivolta senza l’aiuto dell’opposizione politica, però essa non ebbe i risultati sperati.
Infatti gli addetti al crematorio IV, credendo di essere stati traditi, iniziarono la rivolta in anticipo e quindi si ritrovarono isolati, non poterono fare altro che uccidere tre tedeschi prima di essere completamente bloccati dalle SS. In seguito a questo episodio il Sonderkommando venne quasi completamente sterminato, si salvarono solo gli addetti al crematorio III (il crematorio di Shlomo Venezia) perché il loro Kapo Lemke, una volta capito che la rivolta era fallita, impedì loro di esporsi inutilmente al rischio di essere uccisi.
Nello specifico ecco come viene raccontata questa rivolta da Shlomo Venezia nel suo libro “Sonderkommando Auschwitz”:

L'idea della rivolta era nata molto prima del mio arrivo a Birkenau ed era sopravvissuta alle diverse selezioni grazie ad alcuni Kapos che, come Lemke o Kaminski, si trovavano nel campo da lungo tempo e si erano incaricati della sua organizzazione. Kaminski, il capo dei Kapos del Crematorio, era la mente principale; lo rispettavamo tutti. Lui e qualche altro erano riusciti a stabilire dei contatti con l'esterno e a formare un gruppetto di persone incaricate della preparazione della rivolta. I contatti avevano luogo sia al momento di andare a prendere la zuppa sia nel campo delle donne, a cui alcuni uomini del Sonderkommando avevano accesso di tanto in tanto. Dovevano consegnare il denaro che, passando di mano in mano, arrivava ai resistenti all'esterno del campo. Uno degli uomini che teneva i contatti si chiamava Alter. Era un ebreo polacco molto alto e pretenzioso con cui litigai una volta a proposito di un berretto che non voleva restituire a un mio amico. Seppi soltanto in seguito la ragione per cui si recava così spesso nel campo delle donne e in cucina. In realtà andava a recuperare della polvere esplosiva che gli procuravano delle detenute ebree che lavoravano in una fabbrica vicina al campo. Io ero troppo giovane ed ero arrivato da troppo poco tempo per essere messo al corrente dei preparativi di cui venni informato, come tutti gli altri uomini del Sonderkommando, soltanto all'ultimo momento. Prima di allora non avevo sospettato nulla. Bisognava che tutto rimanesse segreto per evitare che qualcuno di noi, tra i più deboli, dicesse ai tedeschi quello che sapeva nella speranza di salvarsi la pelle. I preparativi si svolsero con discrezione; i Kapos non si fidavano che degli uomini esperti. Tuttavia due giorni prima dello scoppio della rivolta era chiaro che si stava preparando qualcosa, ma nessuno osava parlarne apertamente. La vigilia del giorno previsto per l'inizio della rivolta (mi sembra fosse un venerdì, anche se alcuni dicono sabato), fummo avvisati uno a uno dal nostro Kapo. La parte più importante della rivolta doveva avvenire nel Crematorio II. Ogni giorno, verso le sei del pomeriggio, delle sentinelle SS passavano di fronte al cancello del Crematorio II per raggiungere le torrette di guardia e passarvi la notte. Camminavano in libertà, senza fretta, con i mitra in spalla; spesso li sentivamo scherzare tra loro. Il piano prevedeva che, al loro passaggio, degli uomini aprissero il cancello e li aggredissero per ucciderli e recuperare le armi. L'azione avrebbe dato il segnale della rivolta agli altri Crematori. Tutto era stato programmato nel dettaglio. Alla fine era stato deciso di non coinvolgere i resistenti all'esterno del campo, perché rifiutavano di convenire una data. Secondo me la rivolta venne fatta scoppiare in quel preciso momento dal Sonderkommando perché era evidente che stavano arrivando gli ultimi grandi convogli e che, ben presto, non ci sarebbe stato più nessuno da gasare. Allora sarebbe arrivato il nostro turno... Bisognava tentare il tutto per tutto. Benché senza speranza, eravamo tutti convinti che fosse meglio agire ed essere uccisi piuttosto che morire senza aver tentato nulla. Lemke ci avvertì, senza usare la parola «rivolta», ma dicendo soltanto: «Tieniti pronto, faremo qualcosa per provare a uscire da questo posto».
(…)
La rivolta doveva iniziare alle sei del pomeriggio. Quel giorno però, verso le due, arrivò sulla rampa un convoglio di deportati. Erano molti. Normalmente mezz'ora dopo l'arrivo di un convoglio, le guardie del treno venivano sostituite dalle SS del campo, che aprivano i vagoni e conducevano i prigionieri verso la Sauna o i Crematori, ma quel giorno non arrivava nessuno. Non riuscivamo a capire perché quel convoglio rimanesse lì, senza che nessuno se ne occupasse. Più tardi scoprimmo che, qualche minuto prima, un ufficiale e due sottoufficiali delle SS erano andati al Crematorio IV e avevano chiamato il numero di matricola di duecento uomini del Sonderkommando, ordinando loro di scendere. Gli uomini, che si preparavano alla rivolta, avevano pensato che i tedeschi, insospettiti, volessero eliminarli prima della ribellione e nessuno si era presentato.
(…)
Gli uomini del Crematorio IV avevano dato fuoco ai materassi e cominciato la rivolta prima dell'ora prevista, convinti di essere stati traditi. Sembra che avessero avuto il tempo di uccidere tre tedeschi prima dell'arrivo dei rinforzi. Avevano incendiato il Crematorio e tentato la fuga, ma erano stati quasi tutti uccisi. Eravamo troppo lontani e senza mezzi di comunicazione per capire cosa stava succedendo, vedevamo solamente uno strano fumo provenire dal Crematorio IV e ci ritrovammo ben presto bloccati all'interno del III. La situazione nel Crematorio II era più o meno la stessa, tranne che lì molti uomini tentarono la fuga, anche se disgraziatamente non andarono molto lontano.
(…)
Solo il giorno dopo venimmo a conoscenza di quello che era successo al Crematorio IV, dal momento che le SS circondavano il nostro Crematorio e impedivano a chiunque di uscire. Indossavano delle uniformi militari e dei mitra pesanti, come se stessero andando al fronte. Nel Crematorio II tutti quelli che avevano tentato la fuga erano stati uccisi. Lemke, ordinando di non muoverci, ci salvò la vita. Se non fosse stato così deciso, alcuni avrebbero probabilmente tentato di forzare le porte.
(…)
Il giorno dopo i tedeschi ordinarono che trenta persone uscissero per continuare il lavoro al Crematorio Il e io decisi di far parte del gruppo; avevo perduto ogni speranza di sopravvivere in altro modo. Le guardie continuavano a circondare il Crematorio; avrebbero ben presto fatto irruzione se non fossimo usciti da soli. Contrariamente a quello che mi aspettavo, non ci uccisero all'istante, ma ci portarono al Crematorio II. Laggiù due o tre prigionieri che non avevano tentato la fuga erano ancora in vita e ci rivelarono cosa era successo. Non sapevamo ancora che gli altri, quelli che avevano provato a fuggire, erano già stati tutti catturati e uccisi. Ci raccontarono invece cosa avevano fatto a Karol, il Kapo tedesco, criminale comune che aveva, a quanto pare, denunciato e rivelato il progetto della rivolta. L'avevano picchiato e gettato nel forno vestito, così com'era.

Alla fine di quello stesso mese sarebbe arrivato l’ordine di smantellare i forni crematori per occultare le prove dello sterminio. I tedeschi evacuarono il campo con la così detta “marcia della morte” che portò i prigionieri fino a Mauthausen.
Durante questa marcia moltissimi morirono di fame, fatica e freddo, ma essa rappresentò la possibilità di salvezza per gli uomini del Sonderkommando.
Infatti approfittando della confusione poterono inserirsi nella colonna di prigionieri in viaggio verso Mauthausen e così sfuggirono alla liquidazione che le SS avevano già preparato e alcuni di loro si salvarono.  





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Rory e Lulù
Siamo due cuginette, Luisa e Rosa, che vivendo lontane hanno deciso di scrivere un blog insieme. A Luisa piace leggere, guardare gli anime e studiare (che secchiona!!!); a Rosa piace leggere, vedere film e scrivere. Speriamo tanto di riuscire a intrattenervi e ad interessarvi e che questo blog vi piaccia!
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