venerdì 23 novembre 2012

Il sistema onomastico romano e le donne “senza nome”
(da Lulù)

Un romano aveva in genere tre nomi, cui poteva aggiungersene un quarto.
Il praenomen era il nome in prima posizione che veniva dato al bambino alla nascita e veniva poi confermato quando questi prendeva la toga virile (intorno ai 15 anni) ed è l’equivalente del nostro nome di battesimo; il nomen era il nome in seconda posizione che indicava la gens di appartenenza (la gens era un gruppo famigliare gentilizio formata da varie familiae); il cognomen in terza posizione indicava la familia di appartenenza. Spesso si aggiungeva un secondo cognomen che era essenzialmente un soprannome che richiamava qualità specifiche di un individuo e proprio da questo cognomen derivano i nostri vari cognomi.
Quindi riassumiamo tutta questa roba in un esempio:
Publio (praenomen) Cornelio (nomen) Scipione (cognomen indicante la familia) Africano (cognomen che fa riferimento a una caratteristica della persona, in questo caso al luogo delle sue imprese belliche).

Le donne non avevano tre o addirittura quattro nomi, ma ne avevano solamente due. Venivano indicate con il nomen e il primo cognomen, insomma non avevano un vero e proprio nome personale. I nomi delle donne erano nomi gentilizi al femminile (ad esempio la figlia di Marco Tullio Cicerone si chiamava Tullia) e per distinguere le varie donne appartenenti allo stesso gruppo famigliare si usava aggiungere al nome Prima, Seconda, Terza e così via o, se le donne in questione erano due, Maior e Minor (maggiore e minore).
Ma perché i romani erano così riluttanti a dare un nome proprio alle donne? Nell’antichità classica si riteneva che delle donne perbene si dovesse parlare poco (“Grande è la gloria della donna della cui virtù si parla pochissimo, per lodarla o biasimarla tra i maschi” aveva detto Pericle): i romani portarono questa idea fino alle massime conseguenze richiedendo addirittura che il nome delle loro donne non venisse mai pronunciato.
Le donne che venivano chiamate con un soprannome erano prostitute (Rutilia “rossa di capelli”, Burrula “burrosa”, Murrula “che profuma di mirra”).
Non avendo un proprio nome inoltre le donne perdevano ogni parvenza di personalità: per i romani la donna non doveva essere una persona, ma una parte passiva e anonima di un gruppo famigliare. E quale modo migliore di far capire questa cosa che chiamando le donne solamente con il nome della famiglia?

Bona Dea, divinità venerata dalle matrone, di cui si diceva che solamente il marito seppe il nome prima della sua morte.

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Rory e Lulù
Siamo due cuginette, Luisa e Rosa, che vivendo lontane hanno deciso di scrivere un blog insieme. A Luisa piace leggere, guardare gli anime e studiare (che secchiona!!!); a Rosa piace leggere, vedere film e scrivere. Speriamo tanto di riuscire a intrattenervi e ad interessarvi e che questo blog vi piaccia!
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